domenica 25 novembre 2012

Un calabrone


Fra tutti gli insetti, anche il calabrone viene attratto, la notte, dalla luce artificiale.
Un calabrone, così minaccioso (tronfio, pieno della sua nomea), entrò in casa mia nel buio estivo e puntò immediatamente la luce che proveniva dal bagno. Dal punto d'entrata del calabrone, quella luce era poco visibile; dalla porta del bagno promanava una debole pennellata di luce gialla, che moriva nel buio.
In bagno si produsse in un numero di alta scuola naturale: s'appiattì, inspiegabilmente, entrò nella lampada, sottile come una tenia s'insinuò nei tre millimetri di spazio fra il soffitto e l'applique.
Ivi incontrò la lampadina incandescente, l'esca alla quale aveva così scioccamente abboccato.
Con grande stupore notai che non riuscì a ripetere il numero, alla rovescia. Non s'appiattì per fuggire, no. Più tardi, riflettendo, conclusi che il pensiero non l'aveva neppure sfiorato.
Iniziò, invece, a girare in cerchio, attorno alla lampadina, all'interno della lampada.
Il suo movimento circolare non venne accompagnato da una costante rotazione intorno al suo stesso asse.
Il suo incedere fu nervoso, rapido, cocciuto.
Il ronzio, sul quale parevano scivolare i suoi rapidi movimenti, lo faceva rassomigliare a qualcosa di meccanico, ad un minuscolo capolavoro.
Lo osservai per qualche minuto, poi me ne andai.
Proseguì per qualche ora, poi il ronzio si fece intermittente, fino a sparire.
La mattina seguente lo vidi stecchito, un poco cotto; mi domandai se fosse giusto che un insetto (benché tale) schiattasse ingannato da una fonte di luce che non esiste in natura.
Il fatto è che non serve analizzare i ghiacci del polo ed elencarne gli inquinanti, per capire quanto siamo nocivi.
L'applique, tra l'altro, se ne stava attaccata al soffitto da anni, con della semplice colla. Dico io... ma è normale?

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giovedì 15 novembre 2012

Vidal


Francesco Impellizzeri – Non c’è Myra senza Vidal, 2012 

Oggi, improvisamente, senza alcuna causa apparente, mi è arrivato alle nari l'aroma del Vidal.
Parlo del celeberrimo bagno schiuma, quello del cavallo bianco, o comunque chiaro (ricordo lo spot in bianco e nero), quello accompagnato dalla musica di Clapton (penso sia di Clapton; non mi piace, non lo conosco approfonditamente).
Così, a causa del Vidal e dello spot in bianco e nero, m'è tornata alla mente la casa della mia nonna paterna. 
C'era un apparecchio televisivo Voxon a valvole, poggiato su di un tavolivo apposito, tavolino retto da un unico fusto con treppiedi. Il fusto era telescopico, diviso in due segmenti. Il superiore s'infilava nell'inferiore e veniva fissato da un morsetto.
Mi feci molto male, un giorno, allentando il morsetto quando la TV era in riparazione: il piano d'appoggio schizzò verso l'alto e quasi mi spaccai la mandibola
C'era il bagno col pavimento in graniglia, bianco e nero, delle quali forme (generate dalla graniglia bianca) ricordo ancora un viso da gnomo (o simil babbo Natale), una pseudo giraffa vista da una curiosa prospettiva, una roncola senza manico.
Ricordo la luca fioca sopra la cucina a gas, era una lampadina che sbucava dal muro.
Ricordo le ginocchia di mia madre che si piegavano, percorse da una scarica elettrica. Forse l'impianto aveva un problema; mia madre si beccava la scossa, talvolta, toccando la cucina a gas, vicina alla maledetta lampadina.
Ricordo mia nonna commossa, perché Angelo mangiava il pane assieme alla pasta.
Poi, fatta una carrellata dei ricordi (non li ho elencati tutti, ovviamente) compare l'aroma del Vidal.
Curiosamente, mi vien da pensare "Per l'uomo che non deve chiedere... mai!", ma mi sovviene che quell'uomo, così laconico, era quello che usava il Denim, il profumo.
Forse il Vidal era per il cavallo che non deve chiedere mai e, forse, la musica di Clapton si sprigionava dallo spot del Denim, ma - forse ancora - tutto questo non è mai stato. Non è che non sia esistito, più semplicemente non è mai stato così. L'uomo chiedeva, eccome, sempre, il cavallo bianco profumava di muschio bianco ed il pino silvestre fu una tipica fragranza di derivazione equina; del resto l'ambra (grigia) viene estratta dall'intestino del capodoglio. 
Poi, venne la memoria. La memoria non è un semplice raccattare dai cassetti del "fu", ma è un ricombinare gli elementi estratti, in modo logico e inoppugnabile.
Per cui, ecco: il cavallo bianco corre sul bagnasciuga, la musica di Clapton accompagna il suo incedere selvaggio, il cavallo suda, serve una doccia, ecco il Vidal al pino silvestre. L'uomo che non deve chiedere, mai, in cuor suo, lo voleva anche fare, ma non doveva. Non è che non potesse, ma, penso, ragioni etiche occultate nelle pieghe del tempo glielo impedivano. Ci pensava il Denim ad ottenere per lui l'unico fattore veramente pro-biotico. Il Vidal ed il Denim erano due soluzioni ad esigenze imbarazzanti e pudicamente non dichiarate. Oggi gli spot potrebbero mostrare un cavallo che puzza insopportabilmente (la tecnologia permetterebbe lo spot olfattivo) ed un uomo con un'inaudita erezione.
La mia memoria ricombina gli elementi considerando variabili etiche individuali e di massa. Sono stupefatto.
  
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martedì 4 settembre 2012

...Come il Martini con le Olive





Il trapasso delle illustri personalità religiose apre sempre le cateratte delle emozioni del popolino.
Mai un’osservazione acuta, oppure una almeno ponderata, nessuna ironica, nessuna dissacrante.
Alla notizia della morte di Martini, io mi sono soltanto preoccupato dello stato d’animo delle olive; il che, indirettamente, onora anche l'uomo.
E’ pacifico che le olive soffrano questo distacco, non c’è bisogno di sconfinata cultura; per preservarsi, nel mezzo della buriana di commenti maldestri sull’eutanasia, del “fine vita” mal interpretato da chi non ha idee (e, nel caso ne avesse, non sarebbero chiare), sarebbe bastata una superficiale cultura musicale.
Intendo dire che non è necessario capire tutti i testi di Vecchioni, si sprecano citazioni letterarie e – si sa – qui casca l’asino; serve però memoria. Servirebbe ricordare CanzonenoznaC: “…e ricordava cose antiche
proibite ma pur sempre vive come il Martini con le olive.”
 


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giovedì 30 agosto 2012

La necessità d'una divinità specializzata


Uno dei miei crucci è l’impossibilità di potersi rivolgere a Dei specializzati (uso definirli “competenti”).
La limitazione del Dio unico è senza dubbio la dispersione di forze, una sorta di accidente aristotelico della totipotenza; perdonate la blasfemia…
Non a caso, in una delle celeberrime canzoni che ho scritto, cantavo: “Oh Signore guarda giù, subito però! Il mio tempo stringe, il tuo no!”.
Se avessimo una folta schiera di Dei e Deucoli, indolentemente assisi su troni e tronetti, sopra le nostre teste, allora avremmo sì degli Dei (pochi) di straordinaria potenza e importanza, ma anche altri, destinati a ruoli secondari.
Avrebbero più tempo. Sarebbero annoiati, ma anche più rapidi. Ci sarebbe il Dio delle porte dei treni e quello dei trinciapolli, la Dea delle matite per occhi, ma anche quella delle ossidoriduzioni, e così via…
Ammetto che nel mio caso (avrei bisogno di un sole cocente o di una tempesta, per domani) potrei rivolgermi agli Spiriti della Natura (chi ha orecchie, bla bla bla…), ma la riflessione è d’obbligo.
Allora:  industriosi calabroni hanno costruito la loro piccola città nella canna fumaria del mio camino.
Ho atteso a lungo, per cercare una soluzione ragionevole e pacifica, ma non posso più attendere: ricorro all’arrogante arma della disinfestazione.
L’impresa (specializzata, per l’appunto) sarà domani pomeriggio da me, per liberami dagli intrusi.
Disinfestazione: 150€ (più IVA)
Piattaforma per raggiungere il comignolo: 130€ (più IVA)
Il mio desiderio è quello di poter invocare il Dio competente che scateni, in un baleno, mentre gli addetti della disinfestazione stanno operando, a scelta del Dio, o un caldo assassino (minimo 50 gradi centigradi all’ombra), o una pioggia torrenziale, amazzonica; alla Marquez, per capirci. Gli addetti, ermeticamente protetti da tute impenetrabili, morirebbero disciolti dal gran caldo, collasso cardiocircolatorio, oppure scivolerebbero, si spiaccicherebbero in cortile, in un giorno di gran pioggia d’agosto… Cadrebbero come fichi maturi. Questo avrebbe una doppia valenza simbolica: la fine dell’avido, tout-court, ed il bagno di sangue, il ringraziamento, il pagamento del Dio specializzato intervenuto.
Insomma: Per 280€ (più IVA), che almeno facciano una fatica boia… maledetti cani infedeli…
 
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martedì 21 agosto 2012

Mucche Lunari


Questa notte è stata disturbata da un costante ulular di cani e dallo straziante muggir di vacche.
All'improvviso, dopo un breve scalpiccìo sulla ghiaia del cortile, un perentorio "Schhhhhhhhhhhhhhh!" ha messo fine al coro canino.
Per il muggire, nulla da fare. Nessuno l'ha fermato.
Ho appreso che i padroni delle mucche sposano un'amena scuola di pensiero, secondo la quale i raggi solari sono altamente nocivi per i paciosi bovini.
Per tal cagione, i villani costringono le mucche nello stallo notte e dì, senza mai mostrarsi indulgenti nei loro confronti.
Del resto, l'ideale è sopra ogni cosa, specialmente per menti così fini.
Questa confessione è solo per chiarire, io lo so, che le mucche sono esseri lunari e, pertanto, risulta corretto celarle al radioattivo sguardo del sole.
I villani (ora in senso deteriore e non letterale) non ne sono a conoscenza e non permettono ai cari ruminanti di goder del notturno bagno risucchiante della luna, nel quale, al contrario, le mucche sguazzerebbero come maiali nei liquami. Ecco perché gemono, straziate e strazianti.
E' risaputo che i villani non usano visitar le terre forestiere; mai hanno osservato i pascoli notturni dei monti brulicanti di erbivori.
Unico dubbio: è stata una notte di luna nuova. Forse, quindi, i villani sanno...
 

giovedì 5 luglio 2012

Barber Shop



G.D. era parrucchiere e cantante a tempo perso.
All’epoca, durante la quale ero un giovane scioperato, G.D. mi sembrava soltanto un poco ebete, anonimo nella sua popolarità paesana; ora, quando lo penso, rievoca in me il Giovanni telegrafista di Jannacci, ma non saprei dire perché. Forse è soltanto l’effetto di simpatia fra le iniziali dei due.
Quindi: G.D. assurse agli onori delle cronache di paese, quando venne colpito da grave “fatto circolatorio” e stramazzò a terra nel mezzo d’un taglio di capelli.
Lo fece con discrezione, essendo anonimo nella sua popolarità. Probabilmente il soffuso tonfo di G. fu coperto dalla radio; sta di fatto che il cliente non comprese subito la gravità dell’accaduto.
Quando alzò gli occhi, dopo un attimo di distrazione, non vide G. nello specchio di fronte a lui. Lo chiamò con insistenza, poi si alzò stizzito e lo scovò dietro la poltrona, sdraiato, con gli occhi sbarrati.
Dopo aver chiamato i soccorsi, subì l’umiliazione del dover attraversare la via principale del paese col taglio incompiuto, per recarsi dall’altro parrucchiere (ne contavamo ben due), il quale ultimò il lavoro interrotto da G., solo per non finire sulla bocca di tutti; lo ultimò con sufficienza.
Da G.D., speso incontravo il parroco. Il parroco (pace all’anima sua) era un sosia di Stan Laurel. Il viso era lo stesso, ma impiantato su di un corpo imponente. G.D. gli tagliava sempre i capelli a spazzola, consolidando la somiglianza col grande comico.
Il parroco (sempre pace all’anima sua) emanava una spiritualità neutra, incolore. In me suscitava il dubbio che la sua spiritualità non servisse neppure a sé stesso.
Quando mi vedeva, attaccava bottone sempre con la vacua considerazione: “Ciao Tosetti, pensa che la mamma di tua nonna faceva Ferrari, come la mia mamma…”…
Un giorno entrai da G.D., per attendere un amico che si stava affidando alle sue forbici. Mentre il parroco mi confessava la solita idiozia della mia bisnonna e di sua madre, notai che G.D. aveva ormai ridotto il mio amico in un perfetto imbecille, producendosi in un arcaico taglio da paggetto.
La madre del mio amico, quando lo vide, lo rispedì immediatamente dall’altro parrucchiere, commentando “te paret un scemu!”.
G.D., dopo il grave “fatto circolatorio”, si riprese vagamente e proseguì nella professione di parrucchiere, praticandola molto lentamente, fino al giorno in cui stramazzò senza più rialzarsi, lasciandoci l’ultima opera incompiuta, portata a termine dal concorrente che, curiosamente, anni dopo se ne andò per il medesimo “fatto circolatorio”.
Il parroco li aveva anticipati nel regno dei cieli, sempre che l’avessero riconosciuto al suo arrivo.
Il mio amico, nel frattempo, si perse fra i gazebo dei duri padani… insomma, di questi rimango solo io apparentemente vivo, perché non dovrei essere né morto, né morto vivente.
 
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lunedì 25 giugno 2012

Crime


Durante il tempo speso davanti alla televisione, tentando di lambiccare tutto un insieme di fattori, lambiccamento che dovrebbe poi dare come prodotto la realtà, che sia animata o inanimata, ho notato che i palinsesti pullulano di un'infinità di serie TV del genere in oggetto.
Scrive Magris, riprendendo chissà chi, che la metafisica è stanziale, sta a casa, non viaggia, quindi io rispetto la regola.
Tornando ai crimes, penso siano per lo più realizzati negli States; alcuni sembrerebbero di ottima fattura, dalle sceneggiature alle riprese. Ciò è confermato dagli esperti, siano essi navigati consumatori, che tecnici del settore.
Non nego che, sporadicamente, qualche espisodio mi abbia rapito... Per quanto possa valere, quindi, confermo la bontà del materiale.
Il punto è altrove: fra i prodotti che cerco di riprodurre, per accertare la correttezza del lambiccamento, vi è anche un mio ex amico, ivoriano, del quale non faccio il nome, e della cui condizione di ex non mi dolgo.
Lui, anni fa, commentava in un italiano stentato e depunteggiaturato: "Qui sempre televisione rapina sparare nonna eh eh eh eh ma che cazzo frega...".

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mercoledì 30 maggio 2012

Intermediazione anatomica



Anni fa ebbi la grandiosa pensata di stampare dei biglietti da visita per una mia ipotetica attività: “produzione e vendita apparati digerenti”.
Lo feci all’infernale macchinetta all’entrata della metropolitana. Stazione Cadorna, Linea Rossa, Milano.
Infilai la mia bella banconota da 10.000 lire, compilai il testo e impaginai (imbigliettai?), attesi qualche minuto, ascoltando il macinare cigolante del macchinario, e… zap! Ecco i miei superbi biglietti da visita.
Purtroppo il progetto non fu più cullato e morì.
Questa mattina ci ho ripensato; prima di tutto è geniale l’idea di definire i contorni di un‘attività (stampando biglietti da visita) e poi, su quella base, cercare di creare tutto il resto, costi quel che costi. Ecco, questo sarebbe l’impresa dell’eroe moderno, l’unico, vero, eroe moderno.
Sarebbe anche molto istruttivo e formante. Non per nulla Jodorowsky racconta in un suo libro il gioco praticato con un amico, da bambini: decidere una direzione e seguirla, superando ogni ostacolo, per esempio entrando dalla finestra in un appartamento ed uscendo dalla porta, che si apre sulla parete opposta. Caro Jodo...
Comunque… Questa mattina ho ripensato alla mia impresa (non nel ramo apparati digerenti, ma estesa a parti anatomiche in generale), perché ho letto che il 40% dei polmoni trapiantati arrivano da fumatori o ex fumatori. Quindi le mirabolanti statistiche trilussiane rivelano una bassa sopravvivenza al trapianto, in seguito all’utilizzo di polmoni “usurati”.
Inoltre, questo fatto ha ingenerato questioni legali non da poco, perché “l’ente trapiantatore” non ha certificato lo stato di buona salute del donatore, impedendo così il possibile rifiuto del ricevente, ad accogliere dei polmoni da fumatore.
Qui entra in ballo la mia impresa di intermediazione anatomica: una fitta rete di “acquirenti porta a porta” cercherà possibili donatori, facendo sottoscrivere un contratto-capestro, per il quale – qualora il donatore, dopo la sottoscrizione, iniziasse a fumare, oppure a concedersi altre immorali e insane abitudini  – per supremo responso d’un banale esame clinico, bloccherebbe  il pagamento pattuito agli eredi.
Altra opzione, molto democratica ed elegante, che sposa rigore ad utilitarismo: donare subito. Donare tutto, donare sé stessi e immolarsi per questo civile e nobile modello di società, in cui, se un giovane dovesse avere una buona idea imprenditoriale, nessuno (e dico nessuno) dovrebbe impedirgli il densificarsi d’un sogno.

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martedì 22 maggio 2012

L'isopode del Leopardi




Sabbia rovente, predatori naturali, le onde che s’infrangono, la risacca, il devastante impatto antropico.
In questo ambiente ostile ecco l’isopode, noncurante dei pericoli, esempio cristallino di naturale e sublime incoscienza.
Ho passato molti anni ad osservare questi piccoli insetti saltellare sulla spiaggia, infossarsi, fare capolino da un cumulo, dopo che un solo passo dell’ignobile turista di turno ne aveva sotterrati vari.
Essendo un piccolo crostaceo, la mia indole golosa talvolta prevaleva anche sulla loro grazia; devo confessare con una certa vergogna che ho sempre osservato l’isopode anche con sguardo culinario.
Sono piccoli, molto piccoli, ma sono di un numero incommensurabile.
Potendoli acquistare al mercato ittico, con una scottata nell’olio (senza che l’olio sia bollente) con dell’aglio… Come per le scimmie di mare, due linguine rappresenterebbero uno dei loro degni epiloghi.
Chiusa la parentesi godereccia, questi esserini che, per forma e agilità mi stanno molto simpatici, per quanto mi riguarda, considerata l’ostinazione, la caparbietà dimostrata nel loro sopravvivere, dovrebbero essere soggetto dell'arte… Che so… Protagonisti di un canto; ce li vedo in luogo delle ginestre del Leopardi.

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lunedì 21 maggio 2012

L'ombrello maggiolino



Faccio parte di quella consistente fetta della popolazione mondiale che non sopporta l’ombrello.
Questa categoria d’insofferenti non va confusa con quella (squisitamente femminile) che tende a smarrirlo.
Sono due faccende affatto differenti: chi lo smarrisce, infatti, lo utilizza. Quando l’irriducibile sbadato non ne fa uso, non è per fastidio, ma unicamente per timore di perdere l’ennesimo accessorio.
Comunque sia: io non lo uso perché mi crea impaccio, è di troppo. Facendo parte della categoria, lo affermo con certezza: la causa è proprio l’impaccio.
I rari momenti in cui la mia convinzione vacilla, sono permeati dalla consapevolezza dello schifo immondo veicolato dall’acqua piovana. La gente non sa, non se ne rende conto, ed è meglio così…
Mia madre raccoglie ettolitri d’acqua piovana e la usa in seguito per bagnare i fiori. Alla natura venefica dell’acqua piovana, aggiunge quindi la nutrita coltura di parassiti, batteri, larve, che si sviluppa facendo ristagnare l’acqua in barili di plastica. A nulla è valso il mio monito.
“Meglio spendere qualche euro in più in bollette!”, le ho consigliato…
Tornando all’ombrello: quando ero un giovincello e le suggestioni indotte dai romanzieri mi marchiavano a fuoco, lessi una descrizione dell’ombrello, scritta da Mishima, in “Stella meravigliosa”.
L’autore, nel motivare la ripugnanza verso l’ombrello, puntava l’indice contro la tensione inaudita della struttura dell’ombrello, contro l’ansia che procura. In effetti, spogliandolo del telo, lo stesso rivela una struttura esile, ma tesa, quasi protesa, resistente e ramificata, con artigli, il che rievoca macabri aracnidi ed altri esseri che, spesso, popolano gl’incubi.
Allora, da giovincello, trovai in Mishima un forte alleato: nessuno più poté discutere la mia avversione verso l’angoscioso ombrello.
Neppure declinando all’inglese (umbrella), neppure quella spolverata di femminile, lo rende risonante con la mia persona. Forse il francese “parapluie”, per la sonorità, addolcisce il clima, ma… Niente da fare; fra me e l’ombrello non c’è alcuna empatia.
Questa mattina, però, sotto la pioggia di maggio (le celeberrime piogge di maggio?), incessante e incattivita, pensando allo schifo immondo che mi stava cascando in testa, ho aperto un ombrello che lascio decomporre in macchina. Non uno tascabile, no. Un ombrello di misura xxl, per intenderci.
E… non so…Forse il vento che sibilando accompagnava la pioggia, forse il mio offuscamento mentale mattutino, forse la confusione di Milano, il traffico ed i clacson… Insomma: ho proprio percepito che, si! E’ Vero! Con l’ombrello adatto si potrebbe volare. Ho avuto la sensazione di staccarmi da terra di un solo micron, ma quanto basta per sentire la leggerezza del volo.
Mary Poppins e Magritte, a loro ho pensato e, riguardo all’ombrello… Mi perdoni Mishima, ma me ne sono innamorato.


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