giovedì 25 aprile 2013

Non voltarti mai

Al grido “All’assalto!” Giulio Orsini fu impercettibilmente più lento di molti altri ed ebbe il tempo di vedere i soldati (fra di essi dei lesti patrioti) maciullati dalle mitraglie e morenti, sanguinanti e  aggrovigliati nel filo spinato a difesa della trincea opposta.
Pochi istanti prima, allocando la baionetta, incrociò lo sguardo del compagno di sventura al suo fianco e questi vide riflessa nello specchio dell’iride di Giulio la lieve foschia che prelude alla fine.
Per farsi coraggio gli disse: “Vai, vai e non voltarti mai!”. Lo disse in italiano, con marcato accento veneto, ed il ronzio nelle orecchie del compagno, effetto delle esplosioni d’artiglieria, fece rassomigliare l’incoraggiamento ad un miagolio.
Giulio Orsini si voltò comunque, impazzito dalla paura, ma non ebbe il tempo di compiere un passo verso la propria trincea che notò distintamente la fiammata prodotta dalla pistola, il cui proiettile gli trapassò il cuore, ma non poté confortare l’ufficiale assassino, il quale si rammaricò del gesto  istintivo, poiché un’esecuzione davanti alle truppe – a dimostrazione che nemici e disertori sono della stessa pasta – avrebbe avuto maggior effetto.
Nella frazione di tempo fra la fiammata e la morte, Guido Orsini visse un’esperienza che, in genere, accompagna anche l’estasi; il tempo perde i connotati o forse evapora, lasciando respirare gli eventi.
Ricordò infatti con dovizia di particolari il brutto tiro giocatogli tre volte dalla bella Irene, prima di partire per il fronte.
Per tre sere consecutive, seminando genitori e guardoni, si erano appartati in collina fra le robinie, per fare l’amore.
Osservavano in piedi la piana e lei, dietro di lui, lo abbracciava. Non appena il sole scompariva sotto l’orizzonte, Irene gli copriva gli occhi con le mani. Dopo un paio di minuti toglieva le mani e gli sussurrava “Non voltarti mai…”, lo diceva in italiano, ma con un marcato accento veneto.
Indietreggiava poi d’un passo, per non aver contatto fisico, sussurrando ancora: “Non voltarti mai…”…
La prima sera Giulio s’imbronciò dalla delusione. Il giorno seguente esclamò: “Seeee… così scapi ancora!”;  lo disse tentando un improbabile italiano, necessario per rimarcare concetti importanti.
La terza sera gridò nella boscaglia: “Vaca putanaaaa!”.
Sicché  per tre volte la bella Irene si volatilizzò,  invisibile e silenziosa come un barbagianni e Giulio partì per la prima linea, con l’insopportabile peso di dover morire quasi da uomo.
La ragazza, dal canto suo,  non era crudele ma – come capita – più esperta  in questioni di cuore ed era ben conscia del fatto che facendo l’amore ci s’innamori del tutto.
Ancor più grave, se una di quelle sere avesse fatto l’amore, forse si sarebbe ritrovata con un figlio a carico e senza marito; un giorno il bimbo le avrebbe domandato chi mai fosse stato il padre. Lei, probabilmente, avrebbe risposto “ma cosa te ne importa, non voltarti mai…”, lo avrebbe detto in dialetto, perché era un concetto da tener leggero, perché non si erano sposati e non era bene, confidando nel potere ammaliante della pearà che sobbolliva in cucina.
Il bimbo, poi, voltandosi comunque, avrebbe scoperto l’identità del padre e si sarebbe voltato alla visita di leva ritrovandosi come l’unico della sua generazione e così infinite volte, tante sono le occasioni che riserva la vita per farlo, come infinite volte lo fece Giulio Orsini nella sua breve esistenza.
Anche la bella Irene, del resto, si voltò infinite volte nella vita, sfilando davanti al monumento ai caduti, tirando dritto verso il cimitero, voltandosi leggendo e rileggendo il nome di Giulio Orsini; lo rilesse sempre con accento veneto, per carezzare il ricordo, sempre, allungando verso il cimitero, si sarebbe poi voltata sussurrando “…mona!”.  
In gioventù ebbe la lungimiranza ed il coraggio di ascoltarsi: le guerre per i poveri non terminano con la firma di un armistizio.

Un vecchio raccontino: lo dedico a mia nonna Giacomina Formentelli ed a sua sorella Maria, che non furono come Irene (io non sarei qui, probabilmente), ma ne pagarono le conseguenze.
Dedicato a mio padre, cresciuto senza papà, morto nella mattanza della ritirata dal fronte russo.
Dedicato a suo padre, tritato dagli ingranaggi degli eventi storici.
Dedicato a tutti, giovani, vecchi e scomparsi, che concepiscono la “Liberazione Permanente”.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

al contrario, mia nonna non avrebbe mai incontrato mio nonno se non ci fosse stata la guerra ed io non sarei qui. suo fratello, nel frattempo, moriva da qualche parte nell'Egeo. strani i casi per cui veniamo al mondo, ti pare?

Carlo ha detto...

Si, hai ragione. I percorsi personali si intrecciano e si allontanano, oppure si interrompono, ma lasciando traccia... E poi arriviamo "noi", dei risultati di questo apparente caso...
Ciao!