(Its an old Japanese recipe; artist: Ed Mclachlan)
Iginia era una signora, un poco su d’età, come tante.
Abitava al secondo piano d’un vecchio palazzo posto al
centro del paese, in un viottolo che dipartiva dalla piazza della chiesa.
Come le tante altre alle quali alludevo, Iginia portava
capelli bianchi e molto radi, scarmigliati, avendo abbandonato da trent’anni il
dignitoso rito di ravviarli al risveglio.
Sospettavo che Iginia non si curasse neppure d’usare una
reticella, durante il sonno, ragion per la quale l’effetto da fresca baruffa
della sua capigliatura, assai curioso, mutava ogni giorno, lungo un’intera fase
lunare.
Iginia, dalla carnagione lattiginosa, mostrava un viso un
poco gonfio; un gonfiore d’età, da stanchezza degli organi emuntori, da
pensieri secolari, insufflati nella mente attraverso i disponibili orifizi, da
quegli spiritelli dispettosi ben catalogati dai cinesi antichi: questioni di congestione
della milza, per intenderci.
Anche le vesti indossate da Iginia contribuivano a
definire la sua partecipazione al lento corteo delle Partenti, quel numeroso
esercito di donne antiche, senza più fremiti d’ogni sorta, che all’apparenza hanno
perduto il calore dell’ardente fuoco sacro interiore.
I colori pavidi dei tessuti, smunti, parevano affacciarsi
a noi dalle finestre di un’altra dimensione. Non erano slavati, tale impressione è
veicolata dall’inganno dei sensi: non si
volevano mostrare in pieno vigore, forse per consonanza con la donna.
Iginia la vedevo spentolare, attraverso la porta finestra
della sua cucina, mentre badavo all’orto ed al mio piccolo giardino.
Un giorno, intento a potare il melograno nano, la salutai
e lei mi rispose agitando la mano, ma sviando come sempre lo sguardo dal mio,
come in imbarazzo di fronte ad un essere umano dai sentimenti ancora caldi.
Suo marito era scomparso da tempo, in un istante, senza
avvisare, mentre i suoi figli abitavano altrove, limitandosi alle prescritte visite
domenicali, che da un lato placano i sensi di colpa, ma dall’altro alimentano
la noia.
Quando il terremoto sventrò il palazzo, lasciandolo in bella
mostra con una tremenda cicatrice, Iginia s’impasto con la devastazione; fu ben
difficile recuperare i suoi resti ed altrettanto ricomporli, perché cedette il
lato sinistro della casa, proprio il lato in cui, nel suo appartamento, vi era
il fornello a gas.
I terremoti che colpiscono intorno a mezzogiorno, mossi
da inflessibili convinzioni dantesche, fanno stragi di golosi e, poiché la
storia irretisce sempre gl’innocenti, si
prendono pure chi si nutre quanto basta per stare in piedi, e nulla più.
Nel mio giardino crollarono detriti, il mio melograno
nano venne sommerso; fra i calcinacci emergeva una testa di bambola con grandi
occhi turchesi, dall’espressione attonita.
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5 commenti:
Son vivi i terremoti, i già accaduti che ti si fan vedere sol quando c'è bisogno e voglion loro
Un saluto
Un saluto anche te, bentornato!
È un piacere, quand'è che ti racconti
Ha ragione Paolo. E' un piacere ,quand'è che ti racconti.
Cristiana
Grazie, grazie, siete molto gentili!
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