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In una viuzza secondaria, poco trafficata, al punto che da bambini si
giocava a pallone senza che le mamme si preoccupassero, al numero 32, salendo
due vecchi gradini di pietra si trova la porta d’entrata della casa.
Varcandola, sulla destra c’è un piccolo ripostiglio buio, alto un metro e poco
più, chiuso da una grata, dove ho sempre visto delle bottiglie di vino
polverose, mentre di fronte sei gradini salgono piegando verso destra, giungendo
ad un pianerottolo.
Da esso si accede ad un piccolo bagno, senza vasca né doccia, a
sinistra si entra nella grande cucina (dalla quale un piccolo uscio si apre nel
modesto salotto) e a due rampe di scale che portano al secondo piano, alle
camere da letto.
Il pianerottolo, sul lato che dà alla strada (salendo dalle scale, a
destra) è aperto. Vi è un muricciolo alto meno d’un metro, sormontato da una
ringhiera e pare di essere su di un balcone.
La casa è antica, si dice del 1400; tutta la zona è molto datata. I
palazzi tutt’intorno sono di pregevole fattura. Da bambino sbirciavo nelle
finestre illuminate e vedevo soffitti in legno decorati finemente.
Questa mattina ho visto dei muratori ammonticchiare materiale sul pianerottolo,
pare che si dedichino seriamente alla crepa; proveranno a spaccare lo strato di
gesso del muro, raggiungendo l’anima in sasso. Cosa accadrà, poi, lo ignoro. Cosa
troveranno? Come potranno suturare la perpetua ferita in modo definitivo? Lo
strato superficiale delle pareti è assimilabile alla pelle, la pelle di una
casa. La pelle paga spesso colpe altrui. S’infiamma perché l’infiammazione
risale da dentro, impregna il derma e sboccia in superficie. Quando
l’epidermide sfiamma, allora significa che anche sotto le fiamme si sono
placate.
La crepa, infatti, l’ho vista negli anni crescere e poi ritirarsi:
questo respiro di pietra, che dilata e alimenta la fessura, per poi chiuderla
espirando, è svincolato dalle stagioni e dall’umidità, persino dal calore. Si
apre lentamente, oppure repentina; usa anche accelerare all’improvviso, dopo un
inizio titubante, quasi timido, e dalla camera da letto ama irrompere nella
cucina di sotto in un baleno.
Certe mattine, passando per salutare, ho scorto in fondo alla cucina
la crepa che arrivava dal piano di sopra e s’infilava dietro la credenza. Il
giorno seguente la vedevo rientrata, dal soffitto percorreva lungo il muro non
più di quindici centimetri. Un giorno in cui la crepa era particolarmente
attiva, seduto sul divano, la notai vicina ai miei piedi. Sottile, quasi
invisibile, dal piano di sopra aveva percorso la parete della cucina, attaccato
il pavimento e strisciato subdola per un paio di metri nell’antico cotto.
Quando la crepa si ritira, pare che le due sezioni divise si
cicatrizzino; permane un segno debole, per seguire la traiettoria della crepa
serve avvicinarsi a pochi centimetri; alcune volte è necessaria una lente. Dopo
il tramonto, nulla si nota senza una torcia.
Mi raccontò Rina, la proprietaria di casa, che la crepa ascolta e,
qualche volta, dice la sua.
Disse che, qualche anno fa, scoppiò una violenta litigata col marito.
La crepa squarciò il muro davanti ai loro occhi, aprendo una ferita d’un metro
in cucina, il tutto nel giro d’un secondo quando la rabbia sguinzagliò la
volgarità.
Il rumore, di pietrisco rotolante, interruppe la discussione e li
lasciò fulminati a bocca spalancata.
Il giorno seguente, quando di prima mattina arrivò Boldo, il muratore,
era rientrata. Con grande sorpresa si limitò a stuccare di fino il muro e non chiese
denaro.
Peppe, il padrone incontrastato della dimora, lo accompagnò
all’osteria, per compensare la stuccata con un grappino.
Erano buffi, quando li si vedeva sfilare per i viottoli. Uno sporco di
calcinacci e l’altro coperto da un velo di segatura; usciti dall’osteria,
parevano reduci da una baruffa.
Boldo, qua e la, aveva tracce di segatura e qualche truciolo
arricciato, impigliato nella spessa lana del maglione. Peppe, nel velo legnoso
che lo ammantava, ostentava bianche
impronte di mani, impresse con pacche amichevoli, caricate a gesso e polvere.
Quanto rimpiango quell’angolo di mondo antico. Col passare degli anni,
i quattro essenziali negozi chiusero, la zona si spopolò.
I proprietari della casa e Boldo il muratore passarono ad altra
dimensione.
Rimase solo la crepa nella casa disabitata. Sola. S’insinuava nelle
camere seguendo le linee di debolezza della struttura (a noi invisibili) e
gironzolava in silenzio, fiaccata dalla malinconia, quasi a cercare qualcuno da
disturbare, da richiamare alla sfida della suturazione definitiva, sempre vinta
dalla crepa, per nulla sportiva da questo punto di vista.
Io possedevo le chiavi; il mio compito era d’arieggiare i locali, in
attesa di un compratore. La crepa, al mio arrivo manifestava un’innaturale
euforia. Io, che ormai la frequentavo da anni, percepivo il suo rumore, anche
quando procedeva di soppiatto e produceva un soffio debole, per poi aprire
all’improvviso il pavimento fra i miei piedi. Oppure ero io a sorprenderla,
avendo imparato a tenerla d’occhio di sottecchi. Con un balzo improvviso le
atterravo sopra, a piedi uniti, e lei si ritraeva d’un metro, all’istante, per
poi avanzare nuovamente a dieci centimetri da me.
In effetti, Rina me lo diceva: “E’ come un cane, le manca la parola!”.
Sia ben chiaro: salvo quando la crepa apriva squarci sensibili, non la
si vedeva.
Una costante frequentazione, come la mia, allenava la vista a
cogliere, sui muri e sui pavimenti, dei segni. Dalla giusta angolazione, grazie
all’incidenza della luce, notavo una riga, come un leggero graffio rimarginato,
sulle piastrelle.
Questo graffio traversava piastrelle, si poteva seguire il percorso.
Quando la crepa si ritraeva, allora il segno spariva, come d’incanto.
Talvolta m’assaliva il pensiero cupo che la crepa potesse spaccare la casa (e forse
il mondo intero), in due.
Parte 2: La rabbia
Parte 2: La rabbia
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5 commenti:
O saggia crepa che non hai sensi di colpa
E' di puro istinto, la crepa.
Che racconto fantastico.
Mi sembra di rientrare nella casa della mia vecchia Zia Lina.
Quante cose si vedono...attreverso una crepa.
Ciao Luisa, grazie!
Che piacere leggerti qui...
Il contrario, semmai, Carlo!
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