Con
flemma e ovunque,
fumavi
dentro i bagni
dell’Istituto
e scappati
dalla
scuola, o al treno
diretti
in città e laggiù,
dove
scarna si allestiva
la
tragedia dell’Alfieri,
contraemmo
il diavolo
sopra il
marciapiedi;
al
formicolare pensoso
del
corso milanese
giocammo
a scansare
i
passanti a cui sbattevi
in
faccia il ghigno e lo spinello,
nel
mentre Filippo roso
dall’odio
accusava il figlio
d’apprezzare
i fiamminghi.
Poi,
fratello adorato
e dissolto
s’abbatté
il
maglio spaventoso
della
tua non esistenza;
cogl’anni
sopportammo
il
vederti discreto e trasparente
abitare
il tempo dei luoghi
familiari,
che balzella
fosforescente
al ritmo
allegro
della memoria.
Traslucido
rivieni,
fuggevole
nel lampo
ti
stagli dinnanzi al tuo
perpetuo
stato e decadi,
mentre
noi diveniamo
ancora
e ancora, sempre
tu
d’allora permani.
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