Le
nubi cangiare
o
della tempesta
il fronte immane,
il fronte immane,
l’ascondere
il fine,
già
scocca la sesta,
il mio sprimacciare.
E' morto il mattino,
tinniscono calici.
A Febo, che l’ombra
il
meriggio dileggia,
s’occultano
l’oboli
al
genio quercino.
Con
minuzia cernevi
al
tuo lares nocciole,
(la
coda bilancia
il
capino che salta):
lo
scoiattolo suole
stiparle
nei covi.
Rampica
scorza,
sul
ciliegio saetta,
contropeso
perfetto,
di
frutta succosa,
all’estrema
gravezza,
prevale
la forza.
Dice
in frescura
quatto
ripari:
procurasi
scuro,
il
sole velando
ritorta
la coda
e
disseti l’arsura.
Imbandisci
l’altare,
con
aridi semi,
le
polpe vermiglie,
i
segni dei sessi
d’ambienti
silvani,
l’incensi
a bruciare.
Al
buio trasmuti:
il
pelo rosseggia,
morbido
spunta
lo
sciuride istinto
e
già quasi albeggia,
due
denti forzuti.
Martora,
gatto
e
sospesi rapaci.
Balzi
nel prato,
depredi
noccioli,
ghiande
procaci,
diffidi
d’un ratto.
T’accucci
nei nidi,
profitti
d’assenza,
perlustri
alti rami,
ti
slanci all’abete,
bestiale
possanza,
gli
uccelli tu irridi.
Risale
coscienza,
al
pulsar di ragione
dolorano
gli arti,
traballi
stordita,
di
calda magione
la
lungimiranza.
Le
nubi cangiare
o
della tempesta
il fronte immane,
il fronte immane,
l’ascondere
il fine,
già
scocca la sesta,
il mio sprimacciare.
E' morto il mattino,
tinniscono calici.
A Febo, che l’ombra
il
meriggio dileggia,
s’occultano
l’oboli
al
genio quercino.
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