Un mio antico ricordo vede protagonista mia
nonna, che spadellava in cucina; il ricordo investe il senso olfattivo, perché
posso annusare in qualsiasi momento il risotto con le zucchine che mia nonna
preparava, quel giorno compreso fra il 1969 ed il 1976, nel nostro appartamento
di Milano.
Altro filmato d’epoca (non sono fotogrammi
statici) riguarda la morte dei poveri bengalini, che il freddo milanese
“fulminò piamente stecchiti” (Dario Bellezza), malgrado la nonna – sempre
lei – li depose sul calorifero nel tentativo di rianimarli, forse facendo loro
pericolosamente addensare il sangue. Probabilmente i suoi geni bresciani
miscelarono lo spirito animalista con quello cacciatore (“iè bù!”). Ricordo anche, sempre a Milano, sul balcone,
i maggiolini; erano enormi. In campagna, anni dopo, li ho sempre visti più
piccoli, forse perché Milano era più grande?
C’era poi il dirigibile (non ricordo cosa
pubblicizzasse), che verso Natale fluttuava in mezzo ai tre condomini, disposti
a U. Quindi ero tutto contento, quando arrivava il dirigibile.
Salto poi ad una scena che l’odierna
società, civile e barbaramente coltissima, bollerebbe come maltrattamento:
sempre a Milano, sempre in quegli anni, mio padre mi teneva a mo’ d’ariete,
mentre mia madre mi lavava i capelli: non lo sopportavo. Strillavo e cercavo di
dimenarmi.
Il ricordo-perno di quell’epoca è quello
databile con precisione, perché, in quanto collocato nel tempo, permetterebbe
di distanziare correttamente gli altri, se ne avessi il tempo: giugno del 1972. Era il mio terzo
compleanno, quando i miei genitori mi regalarono un cucciolo di cocker, che mi
accompagnò per i seguenti 17 anni. Rivedo nitidamente l’automobile amaranto di
mio padre che si ferma. Le portiere si aprono, scendono i miei, seguiti dal
botolo color caffè-latte.
Un triste frammento è dato dalle luci della
sala operatoria (ritenzione parziale al testicolo destro), ma l’incoscienza
dell’anestesia non la
rammento. Peccato.
Devo obbligatoriamente citare una lunga
serie di “fenocchi” (sempre mia nonna). Lei li chiamava così. “Fenocchi”, con
la “e”. “Carlo, faccio i fenocchi.”, “Carlo vuoi i fenocchi?”, “Mi dia quattro
fenocchi!”, “Quanto vengono i fenocchi?”… purtroppo non riesco, nel puzzle del
tempo, a giustapporre i fenocchi ad altri eventi. Il giorno che mi regalarono
il cane avevo mangiato fenocchi? Il
risotto con le zucchine, quello, magari, copriva il profumo dei fenocchi. I
maggiolini giganti, non erano forse attratti dai fenocchi? E i bengalini?
Povere bestiole… Penso vengano dal Bengala (in caso contrario, qualcuno mi
speghi), magari nel Bengala non ci sono i fenocchi, le cui mefitiche esalazioni minarono il fisico degli uccelletti. Il dirigibile? Spiccava la
gigantesca scritta “Fenocchi Longoni”…? Che ne so… Una roba così. Forse mia
madre usava uno shampoo ai fenocchi? E la sala operatoria? Dopo, in
convalescenza, solo fenocchi? Insomma: a me questa faccenda di prendere una
manciata di ricordi e di spargerli a caso fra i fotogrammi non piace per niente.
3 commenti:
anche mi nonn dice "u fenocchie". ma lei ne ha ben donde, essendo lucana.
e comunque...perche non provi prendere i fotogrammi e a spargerli fra i ricordi? magari cambia la faccenda!
Anch'io da bambino ho avuto un cocker che si chiamavsa Snoopy! È morto presto, sotto un'auto…
Il mio è scampato ben 17 anni!
Poi abbiamo dovuto farlo abbattere... si stava disgregando, povera bestia!
Posta un commento