[fonte]
Conobbi
Gianni C., perché abitava nello stesso condominio del mio amico Daniele.
Viaggiavamo
intorno alla metà degli anni ottanta; io
adolescente, mentre lui contava già almeno il doppio dei miei anni.
Viveva con
la vecchia madre, una donnina rinsecchita dalle traversie, tutta spigoli e
nervi, la quale – se non erro – gli è sopravvissuta.
Gianni non
era certo un bel vedere; non lo si dimenticava. Allampanato, con uno sguardo fisso, vitreo e
folle, girava quasi tutto l’anno in maniche corte, col pacchetto di MS
arrotolato nella manica sinistra. Portava
capelli corti, dalla consistenza del pagliericcio ed il viso scavato era
tagliato da ispidi baffetti castani.
Talvolta
mostrava noncurante le braccia straziate nel tentativo di cancellare degli
orribili tatuaggi, operazione che eseguiva con tecniche brutalmente medioevali.
Un giorno
gli consigliai di usare la pietra focaia; mi pentii subito della sortita, ma,
grazie al cielo, Gianni C. non mi stava ascoltando, perché non ascoltava mai.
“C.” sta
per cioccolato, ma non conosco il motivo di questo soprannome.
Un mio
parente, suo coetaneo, mi raccontò che Gianni si era frullato il cervello con
vari bad trip, durante l’epopea della psichedelia nostrana.
Gianni C.
mi attendeva spesso in stazione, verso le 13.00. Allora io tornavo da scuola ed
i miei compagni sgranavano gli occhi; a quell’ora la banchina era vuota e lui
appariva come l’angelo della morte col walkman, in pieno deserto.
Pur da fermo,
era in movimento. Piegava leggermente le gambe, alternandole, producendosi in
un dondolio costante, che, se osservato troppo, mi scatenava un lieve capogiro.
Quando
scendevo dal treno (con una certa vergogna) mi salutava e mi accompagnava verso
casa. In dieci minuti mi scroccava 3 o 4 sigarette, più altrettante per un enigmatico
“dopo”; mi invitava a prendere un aperitivo, che non pagava mai. Ricordo che un
giorno si presentò di buon umore, quasi solare; mi obbligò, amorevolmente, a fumare qualche sua sigaretta e mi pagò un Crodino.
In genere,
a metà tragitto, lui deviava per il centro del paese, lasciandomi proseguire da
solo, ma talvolta mi domandava delle musicassette in prestito, allora si
spingeva fino a casa mia, suscitando enorme timore in mia nonna, preoccupata
per le mie sorprendenti frequentazioni.
Mi
attendeva di fuori, non entrava. Gli portavo delle musicassette (conscio di
doverle salutare per sempre) e lui se andava; una volta gli diedi anche una bottiglia di
Merlot.
Malgrado
il suo aspetto non fosse da cortigiano, Gianni C. era innocuo. I suoi sensi avevano
l’unica funzione d’introiettare il mondo, chissà con quali sfumature; viveva un
palese isolamento, ragion per cui eventuali accessi d’ira si manifestavano in
gesti autolesionisti. Un mio conoscente, che lo seguì durante il servizio
civile, mi confessò d’un suo tentativo d’evirazione, con delle forbici.
Ebbene,
Gianni C. aveva dei guizzi profetici e non c’è da meravigliarsi. Qualunque
fosse la sua personale logica, Gianni dialogava con sé stesso,
ininterrottamente. Sono certo: pur col suo peculiare sguardo, Gianni aveva
scostato i molti veli che - in noi –
celano il mistero e, forse, s’era avvicinato più di molti grandi pensatori alla
scaturigine della realtà tutta, che sonnecchia in noi. Quella fonte è Dio, altro
che il dispotico tri-fronte dei monoteisti. Penso che Gianni, nel suo sfibrante
dialogarsi, scalò la tetraktys.
Rammento
un suo poema apocalittico, registrato su musicassetta, che recitava: “Nave che in mar pericola, monti che cascan
rotti, negozi a tutta perdita, truffe e fallimenti, saran per l’uman genere
anni de tormenti”.
Ricordo
una sua profezia, purtroppo compresa dopo vent’anni: gli prestai le cuffie del
mio impianto stereo, che, nel rispetto delle meccaniche universali, non mi
restituì più.
Quando le reclamai, di fronte
al mio disappunto, egli mi disse: “Cosa
te ne fai? Sono globali…”.
“In che
senso?”, gli domandai confuso.
“Come?
Sono globali, non capisci?”, insistette.
Io non
insistetti e non capii. Quando ripenso a quel dialogo, ora, molti anni dopo, mi rendo conto che l'accezione moderna di “globale” e “globalizzazione”, che calzava a pennello
per quell’oggetto, era custodita in qualche tabernacolo accademico, in attesa
che i tempi fossero maturi per comprenderla.
Gianni C. ora riposa in pace; sulla lapide c'è una fotografia giovanile, ma io non l'ho ancora vista. Un bel ragazzo, si dice.
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4 commenti:
Lo specchio delle Alice sempre guarda mentre ti si spalanca su altri come senza perché e altri dove
Molto ben tracciato il ritratto di questa persona un po' stramba ma preveggente.
Cristiana
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151792740611378&set=a.10151727205816378.1073741825.19985626377&type=1&permPage=1 scusa, non ha nulla a che fare con il tuo racconto.. ..ma questa sstriscia mi ricord un po' discorsi passati.. ciao! karen
Ciao karen!
Bella la striscia; ho un vago ricordo... forse leggevo "get fuzzy" secoli fa su linus!
Stammi bene.
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