G.D. era parrucchiere e cantante a tempo perso.
All’epoca, durante la quale ero un giovane scioperato, G.D.
mi sembrava soltanto un poco ebete, anonimo nella sua popolarità paesana; ora, quando
lo penso, rievoca in me il Giovanni telegrafista di Jannacci, ma non saprei
dire perché. Forse è soltanto l’effetto di simpatia fra le iniziali dei due.
Quindi: G.D. assurse agli onori delle cronache di paese, quando
venne colpito da grave “fatto circolatorio” e stramazzò a terra nel mezzo d’un
taglio di capelli.
Lo fece con discrezione, essendo anonimo nella sua
popolarità. Probabilmente il soffuso tonfo di G. fu coperto dalla radio; sta di
fatto che il cliente non comprese subito la gravità dell’accaduto.
Quando alzò gli occhi, dopo un attimo di distrazione, non
vide G. nello specchio di fronte a lui. Lo chiamò con insistenza, poi si alzò
stizzito e lo scovò dietro la poltrona, sdraiato, con gli occhi sbarrati.
Dopo aver chiamato i soccorsi, subì l’umiliazione del dover
attraversare la via principale del paese col taglio incompiuto, per recarsi
dall’altro parrucchiere (ne contavamo ben due), il quale ultimò il lavoro
interrotto da G., solo per non finire sulla bocca di tutti; lo ultimò con
sufficienza.
Da G.D., speso incontravo il parroco. Il parroco (pace
all’anima sua) era un sosia di Stan Laurel. Il viso era lo stesso, ma
impiantato su di un corpo imponente. G.D. gli tagliava sempre i capelli a
spazzola, consolidando la somiglianza col grande comico.
Il parroco (sempre pace all’anima sua) emanava una
spiritualità neutra, incolore. In me suscitava il dubbio che la sua
spiritualità non servisse neppure a sé stesso.
Quando mi vedeva, attaccava bottone sempre con la vacua
considerazione: “Ciao Tosetti, pensa che la mamma di tua nonna faceva Ferrari,
come la mia mamma…”…
Un giorno entrai da G.D., per attendere un amico che si
stava affidando alle sue forbici. Mentre il parroco mi confessava la solita idiozia
della mia bisnonna e di sua madre, notai che G.D. aveva ormai ridotto il mio
amico in un perfetto imbecille, producendosi in un arcaico taglio da paggetto.
La madre del mio amico, quando lo vide, lo rispedì
immediatamente dall’altro parrucchiere, commentando “te paret un scemu!”.
G.D., dopo il grave “fatto circolatorio”, si riprese
vagamente e proseguì nella professione di parrucchiere, praticandola molto
lentamente, fino al giorno in cui stramazzò senza più rialzarsi, lasciandoci
l’ultima opera incompiuta, portata a termine dal concorrente che, curiosamente,
anni dopo se ne andò per il medesimo “fatto circolatorio”.
Il parroco li aveva anticipati nel regno dei cieli, sempre
che l’avessero riconosciuto al suo arrivo.
Il mio amico, nel frattempo, si perse fra i gazebo dei duri
padani… insomma, di questi rimango solo io apparentemente vivo, perché non
dovrei essere né morto, né morto vivente.
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