mercoledì 30 maggio 2012

Intermediazione anatomica



Anni fa ebbi la grandiosa pensata di stampare dei biglietti da visita per una mia ipotetica attività: “produzione e vendita apparati digerenti”.
Lo feci all’infernale macchinetta all’entrata della metropolitana. Stazione Cadorna, Linea Rossa, Milano.
Infilai la mia bella banconota da 10.000 lire, compilai il testo e impaginai (imbigliettai?), attesi qualche minuto, ascoltando il macinare cigolante del macchinario, e… zap! Ecco i miei superbi biglietti da visita.
Purtroppo il progetto non fu più cullato e morì.
Questa mattina ci ho ripensato; prima di tutto è geniale l’idea di definire i contorni di un‘attività (stampando biglietti da visita) e poi, su quella base, cercare di creare tutto il resto, costi quel che costi. Ecco, questo sarebbe l’impresa dell’eroe moderno, l’unico, vero, eroe moderno.
Sarebbe anche molto istruttivo e formante. Non per nulla Jodorowsky racconta in un suo libro il gioco praticato con un amico, da bambini: decidere una direzione e seguirla, superando ogni ostacolo, per esempio entrando dalla finestra in un appartamento ed uscendo dalla porta, che si apre sulla parete opposta. Caro Jodo...
Comunque… Questa mattina ho ripensato alla mia impresa (non nel ramo apparati digerenti, ma estesa a parti anatomiche in generale), perché ho letto che il 40% dei polmoni trapiantati arrivano da fumatori o ex fumatori. Quindi le mirabolanti statistiche trilussiane rivelano una bassa sopravvivenza al trapianto, in seguito all’utilizzo di polmoni “usurati”.
Inoltre, questo fatto ha ingenerato questioni legali non da poco, perché “l’ente trapiantatore” non ha certificato lo stato di buona salute del donatore, impedendo così il possibile rifiuto del ricevente, ad accogliere dei polmoni da fumatore.
Qui entra in ballo la mia impresa di intermediazione anatomica: una fitta rete di “acquirenti porta a porta” cercherà possibili donatori, facendo sottoscrivere un contratto-capestro, per il quale – qualora il donatore, dopo la sottoscrizione, iniziasse a fumare, oppure a concedersi altre immorali e insane abitudini  – per supremo responso d’un banale esame clinico, bloccherebbe  il pagamento pattuito agli eredi.
Altra opzione, molto democratica ed elegante, che sposa rigore ad utilitarismo: donare subito. Donare tutto, donare sé stessi e immolarsi per questo civile e nobile modello di società, in cui, se un giovane dovesse avere una buona idea imprenditoriale, nessuno (e dico nessuno) dovrebbe impedirgli il densificarsi d’un sogno.

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martedì 22 maggio 2012

L'isopode del Leopardi




Sabbia rovente, predatori naturali, le onde che s’infrangono, la risacca, il devastante impatto antropico.
In questo ambiente ostile ecco l’isopode, noncurante dei pericoli, esempio cristallino di naturale e sublime incoscienza.
Ho passato molti anni ad osservare questi piccoli insetti saltellare sulla spiaggia, infossarsi, fare capolino da un cumulo, dopo che un solo passo dell’ignobile turista di turno ne aveva sotterrati vari.
Essendo un piccolo crostaceo, la mia indole golosa talvolta prevaleva anche sulla loro grazia; devo confessare con una certa vergogna che ho sempre osservato l’isopode anche con sguardo culinario.
Sono piccoli, molto piccoli, ma sono di un numero incommensurabile.
Potendoli acquistare al mercato ittico, con una scottata nell’olio (senza che l’olio sia bollente) con dell’aglio… Come per le scimmie di mare, due linguine rappresenterebbero uno dei loro degni epiloghi.
Chiusa la parentesi godereccia, questi esserini che, per forma e agilità mi stanno molto simpatici, per quanto mi riguarda, considerata l’ostinazione, la caparbietà dimostrata nel loro sopravvivere, dovrebbero essere soggetto dell'arte… Che so… Protagonisti di un canto; ce li vedo in luogo delle ginestre del Leopardi.

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lunedì 21 maggio 2012

L'ombrello maggiolino



Faccio parte di quella consistente fetta della popolazione mondiale che non sopporta l’ombrello.
Questa categoria d’insofferenti non va confusa con quella (squisitamente femminile) che tende a smarrirlo.
Sono due faccende affatto differenti: chi lo smarrisce, infatti, lo utilizza. Quando l’irriducibile sbadato non ne fa uso, non è per fastidio, ma unicamente per timore di perdere l’ennesimo accessorio.
Comunque sia: io non lo uso perché mi crea impaccio, è di troppo. Facendo parte della categoria, lo affermo con certezza: la causa è proprio l’impaccio.
I rari momenti in cui la mia convinzione vacilla, sono permeati dalla consapevolezza dello schifo immondo veicolato dall’acqua piovana. La gente non sa, non se ne rende conto, ed è meglio così…
Mia madre raccoglie ettolitri d’acqua piovana e la usa in seguito per bagnare i fiori. Alla natura venefica dell’acqua piovana, aggiunge quindi la nutrita coltura di parassiti, batteri, larve, che si sviluppa facendo ristagnare l’acqua in barili di plastica. A nulla è valso il mio monito.
“Meglio spendere qualche euro in più in bollette!”, le ho consigliato…
Tornando all’ombrello: quando ero un giovincello e le suggestioni indotte dai romanzieri mi marchiavano a fuoco, lessi una descrizione dell’ombrello, scritta da Mishima, in “Stella meravigliosa”.
L’autore, nel motivare la ripugnanza verso l’ombrello, puntava l’indice contro la tensione inaudita della struttura dell’ombrello, contro l’ansia che procura. In effetti, spogliandolo del telo, lo stesso rivela una struttura esile, ma tesa, quasi protesa, resistente e ramificata, con artigli, il che rievoca macabri aracnidi ed altri esseri che, spesso, popolano gl’incubi.
Allora, da giovincello, trovai in Mishima un forte alleato: nessuno più poté discutere la mia avversione verso l’angoscioso ombrello.
Neppure declinando all’inglese (umbrella), neppure quella spolverata di femminile, lo rende risonante con la mia persona. Forse il francese “parapluie”, per la sonorità, addolcisce il clima, ma… Niente da fare; fra me e l’ombrello non c’è alcuna empatia.
Questa mattina, però, sotto la pioggia di maggio (le celeberrime piogge di maggio?), incessante e incattivita, pensando allo schifo immondo che mi stava cascando in testa, ho aperto un ombrello che lascio decomporre in macchina. Non uno tascabile, no. Un ombrello di misura xxl, per intenderci.
E… non so…Forse il vento che sibilando accompagnava la pioggia, forse il mio offuscamento mentale mattutino, forse la confusione di Milano, il traffico ed i clacson… Insomma: ho proprio percepito che, si! E’ Vero! Con l’ombrello adatto si potrebbe volare. Ho avuto la sensazione di staccarmi da terra di un solo micron, ma quanto basta per sentire la leggerezza del volo.
Mary Poppins e Magritte, a loro ho pensato e, riguardo all’ombrello… Mi perdoni Mishima, ma me ne sono innamorato.


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venerdì 18 maggio 2012

L'hanno castrato male


Ricordo bene che guardai il mio amico con un certo sussiego, quando giustificò il comportamento del suo gatto con l’affermazione: “L’hanno castrato male…”.
Già, perché quel gatto, malgrado sfornito da tempo di zebedei, con la calda stagione, insisteva pervicacemente a miagolar sofferenza, se rinchiuso in casa, ad ogni lancinante mugolio di qualche gatta.
A nulla valse il mio tentativo di spiegare che i caratteri sessuali secondari bla bla bla bla… E che, qualora fossero intervenuti tardi a potar la pianticella, Farinelli non avrebbe incontrato grande fortuna.
E’ meraviglioso, questo luogo comune, il “l’hanno castrato male…”; in che senso? Come? Lasciando inavvertitamente qualche cellula dei testicoli? Oppure facendolo distrattamente, fumando una sigaretta? Una canna? Sciorinando logore battute a sfondo sessuale? Con una mano in tasca? Io proprio non capisco quel “male”, anche perché una castrazione eseguita male mi rimanda unicamente alla morte dell’innocente micio.
Tempo dopo, una donna corpulenta e annoiata catturò e fece castrare il mio gatto, quando l’ignaro felino contava già sette anni... Come castrare Farinelli intorno ai cinquanta… grossomodo!
Lo fecero “male”, appunto, perché tornò sanguinante dallo scroto, ma sopravvisse.
Lo fecero “male”, forse aveva ragione il mio amico, perché ieri – al primo accenno di calore delle gatte – il miciastro è sparito dopo cena, trascorrendo la notte fuori, come ai tempi gloriosi della fertilità.
Lo fecero “male”, è vero. “Male”, come tutte le cose realizzate fuori tempo.


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