giovedì 31 gennaio 2013

L'orologio a nocciole e balanini




 

Vi sono cene susseguite da notti mute, specie fra solitari e coniugi ben rodati, che dispongono i sensi a cogliere gli stimoli più impercettibili.
Non fosse per il tintinnio delle posate, che urtano i bordi dei piatti, per l’effervescenza delle bevande gasate, per alcuni atteggiamenti villani, come il risucchio della minestra dal cucchiaio o lo sfiatare dalla bocca mangiando, quando i tessuti sono lassi e molli, non a causa dell’età ma per via della poca educazione alla compostezza, al galateo, o per le sfondate reti dei letti, cigolanti, e per  le emissioni corporali volontarie e non, non fosse che in questi casi, durante le cene e le notti mute si possono ascoltare temporali lontanissimi, misteriosi sciacquii di natura extra acquatica (alcuni uccelli ne producono), cargo ad alta quota, treni merci, schiocchi e lamenti vari di bestie lunari, ghiri che rotolano provviste nelle intercapedini (ossia segreti ecosistemi domestici), litigi umani e felini, urla, pelli rasoiate dai graffi, botte, tragedie d’ogni sorta, rumori d’ogni genere.
Di queste manifestazioni, il legno è un gran maestro: travi mai dome, che incementate a mani e piedi, si torcono con pazienza centenaria, mobili antichi che sbuffano naftalina, polvere e noia, scricchiolii vari, sommessi e circospetti.
Vi sono poi gl’insetti dalle fauci adamantine, che trapanano, rodono, scavano persino i legni più induriti e pregiati, anche nel nostro emisfero, cui il Creatore ha risparmiato almeno le termiti e altre talpe terribili e microscopiche.
Nell’intricato ramificarsi tassonomico vi è un gruppo di bestioline per timpani raffinati, che spiccano per stile e discrezione, lontani dai gran fracassoni di cui sopra, la quale industriosità può suscitare tenerezza.
Mi riferisco agli’insetti che provocano gli scricchiolii migliori, da intenditori; quelli che perforano i gusci delle nocciole e penetrano nelle castagne.
Il rumore che potremmo sentire, attenzione, non viene dalla perforazione. Il balanino, infatti, dal rostro d’acciaio, buca nocciole e castagne per deporvi l’uovo, prima che l’ignaro umano le raccolga.  
Per l'esperienza sono più indicate le nocciole, per via della forma, che all’uopo vanno riposte in un contenitore di plastica, facilmente reperibile in un supermercato, acquistando verdure.
Dopo poco tempo, la notte verrebbe invasa da sottilissimi suoni, di difficile interpretazione, ma della famiglia che ho sopra descritto. Sono scricchiolii debolissimi, misteriosi, che allarmano in quanto simili a quelli del legno.
Potrebbero essere travisati, si potrebbe additare il tarlo quale colpevole (che, secondo un’amena teoria, è comparso nel 1700), o un armadio che digrigna i cardini e si assesta o sorride, una travatura che cerca di svincolarsi dai muri, aprendoli con piccoli squarci che chiamiamo con spocchia “crepe”.
In realtà, sorprendente sorgente, è la larva di balanino che, svuotata la nocciola, ne sguscia fuori e ricade sul fondo del contenitore. Il loro rivoltolarsi, quel roteare senza requie, tipico degli esseri cilindrici, innesca la lentissima rotazione di una e, via via, di tutte le nocciole del contenitore; una reazione a catena, un meccanismo senza ingranaggi fatto d’impalpabili attriti, un orologio singhiozzante, privo di ore e lancette, un orologio a nocciole e balanini.

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martedì 29 gennaio 2013

Rozzi interrogativi intorno al tempo


A marzo dello scorso anno ho passato tre settimane estenuanti: mio padre è stato operato (tutto si è concluso bene), mentre, nel frattempo, l'imbianchino stava lavorando a casa mia (quindi, nell'andirivieni da e per l'ospedale ho anche svuotato l'appartamento e poi l'ho riempito nuovamente), poi, per ignote cagioni, forse acrivibili a doglianze degli astri (cioè lo stress, per gli umani) e a bambini infetti e infettivi, mi sono svegliato tempestato di papule: la temuta varicella dell'adulto.
Ho riflettuto perciò sul tempo,o meglio sul viaggiare nel tempo, vagheggiando la possibilità, essendone a conoscenza, di saltare pié pari quelle tre settimane di tormenti.
Premesso che, a mio modesto avviso, non è possibile andare a ritroso nel tempo; ciò che è teroicamente fattibile è avanzare. 
Ordunque: se Carlo con la varicella di proiettasse in avanti di due settimane, diverrebbe Carlo guarito (o peggiorato), oppure Carlo sarebbe più vecchio di tre settimane con la varicella al medesimo stadio, oppure (e infine), sarebbe l'esatta fotografia del Carlo all'istante del salto temporale? 
Tutti questi interrogativi non mi lasciano in pace, sono come le "informazioni di Vincent", che mi orbitano intorno, ma non mi danno alcuna spiegazione.
Questo mio rodere mi ha permesso di ripescare una poesiuola dialettale che scrissi anni fa, che ripropongo:


Ol temp

Ol temp
Soo no se l’è;
ma el vedi scapà via.

Disen i studios
Che l’è propi
L’orelogg del mond;
i bastian contrari
disen che ‘l ghè no;
che l’è tuta fantasia.

Mi legi i lor matatt,
e me se tiri matt
ma mi el soo no se l’è,
el vedi scapà via.

***
 
Il tempo

Il tempo
non so cos’è,
ma lo vedo scappar via.

Dicono gli studiosi
che sia proprio
l’orologio del mondo;
i bastian contrari
dicono che non c’è,
che è tutta fantasia.

Io leggo le loro mattate
e mi tiro matto;
ma io non so cos’è,
lo vedo scappar via.

Revisione ortografica a cura di Marco Bertoli
 
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venerdì 25 gennaio 2013

Nuvole senzienti


Berndnaut Smildeasper - Nuvole indoor
 
All'incirca due mesi prima di quella che si preannunciava come una delle più vacue tornate elettorali, mi ritrovai instradato, senza volerlo, lungo il sentiero  dell'ignoto; tanto ignoto, che risulta difficile raccontare.
Si narra che esistano nell'universo esseri privi di corpo fisico, abbandonato da qualche milione di anni durante il cammino evolutivo, in quanto inutile fardello; oltre ad essere corruttibile, pone degli insuperati e insuperabili limiti.
Gli essoteristi descriverebbero queste creature come fatte di "puro corpo mentale", mentre gli esoteristi se ne starebbero ben abbottonati, come conviene. 
Uno di questi esseri, che definisco "metaessere", durante il suo siderale girovagare, per cause che l'uomo ascrive al caso non potendo visualizzare (al contrario del metaessere) quelle trame sottili, intrecciate e stratificate, che chiamiamo "destino", un metaessere, dunque, forse nell'espletamento del suo fine ultimo, dopo un lungo periodo di osservazione del genere umano, prese contatto con me. So bene che tutto questo è incredibile, ma andò così...
Ora, superata la premessa, che è la parte più indigesta dei fatti, ciò che mi preme spiegare è che vissi un'esperienza "mishimiana": dal mio "di dentro", dalla mia profondità, iniziai a "sapere" che mi sarei dovuto recare ad un appuntamento per incontrare il metaessere. 
Era un sussurro che risaliva dall'anima come l'umidità lungo i vecchi muri, un bisbiglio rispettoso ma ostinato, un bisbiglio che mi trasmetteva anche le coordinate: il luogo, il giorno, l'ora dell'incontro. Io "sapevo" che il metaessere voleva "parlare" con me, me l'aveva gorgogliato nella coscienza
L'intento era quello di spalancarci gli occhi, di condurci in un baleno ad una nuova condizione di sapere e di consapevolezza. Io sarei stato il suo factotum in terra, a guisa di profeta moderno. Avrei potuto proseguire ad accoppiarmi e ad utilizzare apparecchi tecnologici. Così mi fece sapere. Per farla breve: una di quelle balle relative alla nuova era. Forse anche peggio delle sole che circolano abitualmente sul pianeta. 
Sorvolando, per brevità, sulle ragioni della mia investitura (vi rammento che lui "vedeva" le trame del destino), seppur con un certo tedio, non potei fare a meno di recarmi all'appuntamento. Anzitutto per buona educazione, per cortesia, in secondo luogo poiché in me era sorta la speranza d'una rivelazione; l'appuntamento cadeva qualche giorno prima delle elezioni politiche. Vagheggiavo che il metaessere potesse farmi superare almeno l'empasse del voto, chiarendomi ogni dubbio intorno all'ideale da perseguire.
Mi recai, quindi, nel più classico dei luoghi per un appuntamento lontano da occhi curiosi. L'inflazionata zona collinare fuori città, frequentata dopo il tramonto estivo dalle coppiette; sempre deserta di giorno e d'inverno. Il luogo, scelto dal metaessere, mi deluse. Una gran banalità. Meglio un bar, a questo punto, considerata la sua acorporalità.
L'esperienza, in quanto mishimiana, mi imporrebbe di scrivere che una brezza leggera scompigliava le chiome delle criptometrie, ma, in quel luogo, non ce n'erano.
Giunto al piano, sulla collina, sopraggiunse una folata di vento decisa; davanti a me s'alzò un mulinello sudicio: un paio di confezioni di snack, filtri di sigarette...
Attesi. Come mia consuetudine, fissai il termine dell'attesa in mezzora, termine rinnovato alla scadenza. A metà della seconda mezzora sentii uno strano disagio.
Il metaessere, con uno sforzo di volontà e, questa volta, anche di rappresentazione, si palesò sotto forma di nuvola violetta. Sospesa ad un metro da terra, di forma non ben definita (un metro cubo di roba) lasciava trasparire non so come che fosse in atto un certo dispendio d'energia, necessaria per rimanere in quello stato a me sensibile. Apprezzai lo sforzo. Ero sereno. 
Il metaessere (sempre per risalita d'umidità) mi spiegò un sacco di frottole per motivare la mia presenza li; poi attaccò a pontificare con la pace universale, la fratellanza e tutte 'ste boiate. Io mi persi quasi subito, il mio pensiero andò ricordando che G. Lakhosvsky scrisse di aver visto sfilare dal corpo l'anima di un morto, precedentemente curato coi suoi circuiti oscillanti, sotto forma di nuvoletta viola.
Quando la comunicazione del metaessere cessò, io presi parola.
Gli spiegai che, con tutto il rispetto, i freack della west coast avevano già raccontato queste cose, ma, tristemente, le faccende sono sempre un poco più complesse. Non mi dilungo, ma cercai di fargli capire che gli equilibri politici ed economici richiedono altre modalità d'azione. 
Il metaessere mi ascoltò (pur non avendo organi di senso) e risalì in me la certezza che ogni tanto annuisse.
Quando finii la mia esposizione, seguirono dei minuti dilatati di inattività del metaessere. Io approfittai della pausa per domandarmi, per l'ennesima volta, perché Lakhosvsky, quel giorno, non ebbe la prontezza di catturare l'anima del morto, chiudendola nel primo contenitore a portata di mano, per esempio in un barattolo per conserve. Avrebbe chiarito molti dei nostri dubbi. Forse la storia avrebbe preso ben altra direzione. Avremmo studiato e penetrato questo mistero inconoscibile, avremmo sciolto nodi apparentemente gordiani; avremmo creato cure straordinarie per i moderni mali. Tutto sarebbe stato possibile e, forse, avrei anche risolto il paticciaccio brutto de via Merulana.  
Di li a poco, il metaessere ebbe un sussulto lieve, parve scosso da un borborigmo.
Sentii ancora la sensazione di risalita delle comunicazioni. 
Mentre attendevo di comprendere la risposta dell'alieno, improvvisa, si abbatté sullo spiazzo una folata di vento.
I rami sottili delle betulle vennero sbatacchiati, ricomparve il mulinello di cartaccia, il vento sibilò.
Il metaessere ebbe un istante che pareva di "irrigidimento", come se avesse difficoltà a mantenere i legami fra le particelle della sua misteriosa sostanza.
Così, in un secondo, si dissolse in una silente esplosione di arabeschi viola. Immediatamente la sensazione di risalita delle informazioni cessò.
Attesi qualche minuto. Maturai la certezza che il metaessere fosse morto; gabbato dal vento. Lui, la sua condizione acorporea, la sua baldanza da tutta coscienza, i suoi poteri, tutto disintegrato da un soffio di vento, senza neppure esaurire gli argomenti, peraltro non banali. Insomma: il signor "tuttomente" non aveva calcolato le conseguenze del vento terrestre. Curioso.
Io pensai che con un barattolo per conserve avrei potuto salvare il metaessere. 
Con una gran delusione nel cuore, me ne tornai a casa malmesso, peggio di prima. Anche il metaessere, tutta mente, solo volontà, non mi aveva insegnato nulla dell'esistenza. 
Durante il tragitto, tragicamente, riaffiorarono gli atroci dubbi elettorali.

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