domenica 20 ottobre 2013

A Bettina



Il Maestro, Bettina,
perì di mozzarella,
non di piada o tortellino,
troppo dura s’incagliò 
nel gozzo e lui sfiatò 
nella babilonia della Roma 
d'ogni tempo e nei lugubri scuri
mari romagnoli e di Venezia.
Hai gettato l'ancora, Bettina, 
sopra uno scoglio 
sicuro di casera.

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giovedì 17 ottobre 2013

Glabri


Questo è tutto
degli anaspidei
e d’altri glabri,
traspirano nei fondachi 
dei mari e dentro 
le anfore di acquari,
si torcon melodiosi
e si strizzano lungo
solenoidi immaginari. 

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giovedì 3 ottobre 2013

Terremoti

(Its an old Japanese recipe; artist: Ed Mclachlan)



Iginia era una signora, un poco su d’età, come tante.
Abitava al secondo piano d’un vecchio palazzo posto al centro del paese, in un viottolo che dipartiva dalla piazza della chiesa.
Come le tante altre alle quali alludevo, Iginia portava capelli bianchi e molto radi, scarmigliati, avendo abbandonato da trent’anni il dignitoso rito di ravviarli al risveglio.
Sospettavo che Iginia non si curasse neppure d’usare una reticella, durante il sonno, ragion per la quale l’effetto da fresca baruffa della sua capigliatura, assai curioso, mutava ogni giorno, lungo un’intera fase lunare.
Iginia, dalla carnagione lattiginosa, mostrava un viso un poco gonfio; un gonfiore d’età, da stanchezza degli organi emuntori, da pensieri secolari, insufflati nella mente attraverso i disponibili orifizi, da quegli spiritelli dispettosi ben catalogati dai cinesi antichi: questioni di congestione della milza, per intenderci.
Anche le vesti indossate da Iginia contribuivano a definire la sua partecipazione al lento corteo delle Partenti, quel numeroso esercito di donne antiche, senza più fremiti d’ogni sorta, che all’apparenza hanno perduto il calore dell’ardente fuoco sacro interiore.
I colori pavidi dei tessuti, smunti, parevano affacciarsi a noi dalle finestre di un’altra dimensione.  Non erano slavati, tale impressione è veicolata  dall’inganno dei sensi: non si volevano mostrare in pieno vigore, forse per consonanza con la donna.
Iginia la vedevo spentolare, attraverso la porta finestra della sua cucina, mentre badavo all’orto ed al mio piccolo giardino.
Un giorno, intento a potare il melograno nano, la salutai e lei mi rispose agitando la mano, ma sviando come sempre lo sguardo dal mio, come in imbarazzo di fronte ad un essere umano dai sentimenti ancora caldi.
Suo marito era scomparso da tempo, in un istante, senza avvisare, mentre i suoi figli abitavano altrove, limitandosi alle prescritte visite domenicali, che da un lato placano i sensi di colpa, ma dall’altro alimentano la noia.
Quando il terremoto sventrò il palazzo, lasciandolo in bella mostra con una tremenda cicatrice, Iginia s’impasto con la devastazione; fu ben difficile recuperare i suoi resti ed altrettanto ricomporli, perché cedette il lato sinistro della casa, proprio il lato in cui, nel suo appartamento, vi era il fornello a gas.
I terremoti che colpiscono intorno a mezzogiorno, mossi da inflessibili convinzioni dantesche, fanno stragi di golosi e, poiché la storia irretisce sempre gl’innocenti,  si prendono pure chi si nutre quanto basta per stare in piedi, e nulla più.
Nel mio giardino crollarono detriti, il mio melograno nano venne sommerso; fra i calcinacci emergeva una testa di bambola con grandi occhi turchesi, dall’espressione attonita.
  

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