giovedì 15 dicembre 2011

Carni bianche

 
Altro materiale (a mio avviso) cinematografico:
io e un amico veniamo accompagnati in una cella frigorifera.
Il cellaio, ma… A proposito: come si definisce l’addetto alla cella frigorifera? Il tale che la apre e la chiude, che ne controlla la temperatura, che conosce la dislocazione del contenuto, che può far da guida per recuperare una merce precisa, e ancora… La cella viene sbrinata? E come si fa? Hanno uno spray apposito, oppure spengono l’impianto? Un altro aspetto che m’interessa è l’abbigliamento.
Si, perché io temo e patisco gli sbalzi di temperatura; sono per me causa certa di un raffreddamento.
Questi addetti come fanno? C’è una zona a temperatura intermedia, nella quale togliere la tuta termica? C’è quindi una zona di “decompressione”? Boh… Quante zone oscure…
Ma, tornando a bomba, come si chiama questo depositario della verità? Cellaio?
Allora: il cellaio (così si chiama per convenzione) ci conduce in fondo alla cella.
Ci infiliamo fra due lunghe file di quarti di manzo, vitello e bue.
Il cellaio ne scosta un paio, ci guarda e gli occhi – improvvisamente – gli brillano, come se ci stesse mostrando la pietra filosofale.
Isola un quarto; c’è qualcosa d’insolito in quel quarto, ma non capiamo del tutto.
Il cellaio, raggiante, ci dice: “Eccolo! E’ un quarto di prete!”.
Io guardo il mio amico e commento: “C****o! E’ carne bianca!”.
Sostiamo alcuni minuti, tentando di saggiare il quarto di prete. Ci giriamo intorno, lo accarezziamo, lo annusiamo, malgrado il gelo abbia soffocato l’odore.
Mentre ce ne andiamo, il mio amico ci spiega (con dovizia di particolari) la ricetta della “coda di prete con patate”. Dice di aver mangiato il piatto in un quartieraccio di Monaco.
Io sottopongo le mie riflessioni: c’è la carne bianca per natura, come quella del pollame. Evidentemente c’è la carne che diviene bianca, per libero arbitrio, per la pratica della purezza e della castità. In altre parole, se le cose stanno così, ci tocca mangiare i preti veri, i preti “dentro”, mentre i preti apparenti, quelli che poi – la carne è debole – tampinano i bambini, per esempio, o che vanno a mignotte, quelli “insozzati”, quelli che hanno la carne ancora rossa… Nulla… quelli non fanno all’uopo.
Che fregatura… L’arte culinaria è però spietata e sorvola tutte le leggi: morali e giuridiche. Il prete vero è perfetto, quello falso e diffuso, no, non va bene. Del resto, anche per i funghi è così. I porcini sono eccellenti, ma pochi. I fungacci senza valore sono più numerosi. Già immagino uno spezzatino di prete con funghi.
Poi domando: non si potrebbe usare un carotiere, tipo quello che si usa per datare gli alberi? Lo si infila nelle carni del prete, entra a vite per circa 15 cm, nella coscia, poi lo si estrae, si estrae la carota di carne e si controlla. Con sorpresa, magari, scopriremmo dei cerchi concentrici e, come per gli alberi, potremmo anche datare il prete, datarlo oggettivamente, senza dar valore alle sue sicure profusioni spirituali e ingannevoli, che alludono quasi sempre all'eternità di un quid che sfugge, a noi golosi.
Il cellaio annuisce, il mio amico anche. Assumono l’espressione stolida di chi ascolta concetti inarrivabili. Gli occhi del cellaio non brillano più, sono lucidi. Bah…
Fine.

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2 commenti:

giarjana ha detto...

sai che differenza c'è tra te e vasco brondi?
15 anni!

Carlo ha detto...

Così pochi?