Faccio parte di
quella consistente fetta della popolazione mondiale che non sopporta l’ombrello.
Questa categoria d’insofferenti
non va confusa con quella (squisitamente femminile) che tende a smarrirlo.
Sono due faccende
affatto differenti: chi lo smarrisce, infatti, lo utilizza. Quando l’irriducibile
sbadato non ne fa uso, non è per fastidio, ma unicamente per timore di perdere
l’ennesimo accessorio.
Comunque sia: io
non lo uso perché mi crea impaccio, è di troppo. Facendo parte della categoria,
lo affermo con certezza: la causa è proprio l’impaccio.
I rari momenti in
cui la mia convinzione vacilla, sono permeati dalla consapevolezza dello schifo
immondo veicolato dall’acqua piovana. La gente non sa, non se ne rende conto,
ed è meglio così…
Mia madre raccoglie
ettolitri d’acqua piovana e la usa in seguito per bagnare i fiori. Alla natura
venefica dell’acqua piovana, aggiunge quindi la nutrita coltura di parassiti, batteri,
larve, che si sviluppa facendo ristagnare l’acqua in barili di plastica. A
nulla è valso il mio monito.
“Meglio spendere
qualche euro in più in bollette!”, le ho consigliato…
Tornando all’ombrello:
quando ero un giovincello e le suggestioni indotte dai romanzieri mi marchiavano a
fuoco, lessi una descrizione dell’ombrello, scritta da Mishima, in “Stella
meravigliosa”.
L’autore, nel motivare
la ripugnanza verso l’ombrello, puntava l’indice contro la tensione inaudita
della struttura dell’ombrello, contro l’ansia che procura. In effetti,
spogliandolo del telo, lo stesso rivela una struttura esile, ma tesa, quasi
protesa, resistente e ramificata, con artigli, il che rievoca macabri aracnidi
ed altri esseri che, spesso, popolano gl’incubi.
Allora, da
giovincello, trovai in Mishima un forte alleato: nessuno più poté discutere la
mia avversione verso l’angoscioso ombrello.
Neppure declinando
all’inglese (umbrella), neppure quella spolverata di femminile, lo rende
risonante con la mia persona. Forse il francese “parapluie”, per la sonorità,
addolcisce il clima, ma… Niente da fare; fra me e l’ombrello non c’è alcuna
empatia.
Questa mattina,
però, sotto la pioggia di maggio (le celeberrime piogge di maggio?), incessante
e incattivita, pensando allo schifo immondo che mi stava cascando in testa, ho
aperto un ombrello che lascio decomporre in macchina. Non uno tascabile, no. Un
ombrello di misura xxl, per intenderci.
E… non so…Forse il vento che sibilando
accompagnava la pioggia, forse il mio offuscamento mentale mattutino, forse la
confusione di Milano, il traffico ed i clacson… Insomma: ho proprio percepito
che, si! E’ Vero! Con l’ombrello adatto si potrebbe volare. Ho avuto la
sensazione di staccarmi da terra di un solo micron, ma quanto basta per sentire
la leggerezza del volo.
Mary Poppins e Magritte,
a loro ho pensato e, riguardo all’ombrello… Mi perdoni Mishima, ma me ne sono
innamorato.
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